Civic hacking e l’esperienza della memoria
Ci avviamo in una stradina che si arrampica per salire la collina, su il Castello di Ottaviano che da qualche anno ha riconquistato il suo nome. Durante gli anni 80 il Castello Mediceo era, nell’immaginario collettivo, il Castello di Cutolo, quartier generale della NCO. Un immaginario costruito sulle inchieste, i racconti, le storie e rafforzato all’esperienza visiva con il film Il Camorrista di Giuseppe Tornatore, del 1986, che li ambienta alcune scene. Su per la stradina una decina di persone che, poche ore prima, si erano riunite e conosciute con l’obiettivo di monitorare l’assegnazione dei beni confiscati alle mafie attraverso una visione che catalizza forze civiche e che lega il progetto Monithon e Open Pompei. Sono un gruppo di civic hacker, di diversa esperienza, impegnati a praticare gli open data e a monitorare l’impiego dei fondi europei. Si muovono spinti da una curiosità intellettuale sulle forme e i processi capaci di “rendere abili” il più vasto numero dei cittadini su questi temi. Con lo stesso spirito, parte del gruppo qualche settimana dopo si ritrova a sorridersi Bologna, a Spaghetti Open Data 2014.
Su per la salita queste forze vengono confortate dalla presenza del castello, perchè la strada di accesso che porta al parcheggio, cantierizzata e forestizzata, continuava a restituire la sensazione di aver sbagliato direzione e ad ammonire che di li a poco, si sarebbe tornati indietro a chiedere le indicazioni. Occhi, orecchie e mani, supportati da macchine fotografiche, telecamere e taccuini, vengono accolti nel presidio di Legambiente di Ottaviano e si dispongono attorno a un tavolo pronti ad ascoltare, domandare, riflettere, documentare, e a domandare ancora.
Perchè ciò che emerge a qualche minuto dall’incontro con i nostri interlocutori – Pasquale Raia (Legambiente ) e Antonio D’Amore (Libera) – che ci accompagnano alla scoperta del Castello, non è la storia di questo bene, ma quella di una cittadina di provincia che tra gli anni settanta e gli ottanta sale agli onori della cronaca nera nazionale come il centro di una rete criminale le cui reti vanno bel oltre la dimensione regionale. Attraverso il monitoraggio del bene e la redazione della scheda che ci apprestavamo a compilare, l’incontro di Ottaviano si anima di racconti su persone, amministratori, giovani attivisti e su cosa è stato ed è la presenza della camorra nei territori vesuviani.
Per chi, come me, ha studiato gli effetti del Terremoto del 1980 in Campania – conoscendo le inchieste e i verbali delle due principali commissioni parlamentari d’inchiesta che si sono occupate dell’argomento (quella sul Post-terremoto e quella sulla Camorra) – il racconto è noto, mentre dal fondo carsico del vissuto dei nostri interlocutori emerge la storia di una generazione, giovane 30 e 40 anni fa, che per sopravvivere andò via di li. Ancora oggi entrambi i nostri accompagnatori abitano altri territori, seppur limitrofi, e tornano ad Ottaviano per portare avanti quelle azioni di riconquista dei territori coinvolgendo le più ampie risorse possibili a prendersi cura del Vesuvio attraverso il Castello e delle altre aree della città attraverso il Museo Aperto (altro bene monitorato).
Quando torniamo a occuparci del Castello – entrando in esso solo dove è possibile (perchè il primo piano è un cantiere) – veniamo accolti dalla storia: quello della famiglia dei Medici e delle sue principesse che ne ereditarono e abitarono il bene fino ai primi anni 70, accompagnata da stemmi, affreschi, architetture; quella più oscura degli anni successivi, dei cutolinani con gli abusi edilizi, e poi quella degli anni dell’abbandono, dei mobili antichi lanciati dai balconi e delle azioni per affermare, anche con una semplice insegna, che quel luogo era ora del Comune e, infine, quella della stessa amministrazione che preferiva che “altri” apponessero il cartello. Quando provo ad approfondire la storia della Nco al castello trovo una certa riluttanza del mio interlocutore, più incline a dare forma a quella che dal medioevo si ferma all’alba degli anni 70 e, con un salto temporale, riprende ora con i disabili che coltivano l’orto, con l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio che gestisce i piani terra e con il Comune che sta ristrutturando il piano superiore e tutti i dubbi sulla sua definitiva destinazione d’uso.
Nonostante il ruolo ricoperto dell’immaginario collettivo la simbolizzazione emozionale della confisca del Castello e nonostante la figura “civica” del mio interlocutore sia costruita proprio sulla lotta alla Camorra, la storia delle pratiche cutoliane nel castello (i summit, i luoghi, gli ingressi, le sentinelle) cade nell’oblio, viene tacciata di spettacolarizzazione e rimossa come un tabù. Eppure dare voce a questa storia, per quanto sia mai del tutto vera, catturerebbe quelle generazioni che non la hanno vissuta e quelle che la hanno solo immaginata, racconterebbe con una diversa memoria dello sguardo, dell’attivismo presente nel territorio, della costruzione assidua di reti di prossimità, del senso dell’esperienza nella cura di un bene confiscato. Ma forse questo racconto è ancora lontano dal quel momento in cui si decide chi ha vinto e chi ha perso, perchè chi costruisce la storia, dando voce alla memoria collettiva, è sempre il vincitore. Forse questa storia, per ora, non ha ancora deciso chi sono gli invasori e chi i conquistati. Forse per questo, uno dei nostri interlocutori non ha detto che i disabili che si occupano dell’orto nel castello sono i “suoi” disabili, inseriti in un progetto di una cooperativa sociale (cosa che abbiamo scoperto il giorno dopo lavorando tutti insieme a compilare la scheda e a cercare informazioni in rete).
Però, poi c’è ancora un’altra storia da raccontare, quella di una istituzione che in questo mezzogiorno d’Italia, sta a presidio di un bene e di un territorio: l’Ente Parco Nazionale Vesuvio, affidatario di parte del Castello. E’ questo ente che permette che il bene confiscato sia continuamente assediato con uffici, riunioni e iniziative, che sia la cerniera tra due luoghi potenzialmente esplosivi: una cittadina in cui abitano ancora moltissimi componenti della criminalità organizzata e il Vesuvio contemporaneamente rischio e risorsa di questo territorio.
Ma questa è un’altra storia.
Buon civic hacking a tutti,
Ilaria Vitellio
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